Storia e cultura d’impresa come asset di competitività sui mercati internazionali
La consapevolezza della propria storia e la forza di una sofisticata cultura d’impresa sono veri e propri asset di competitività, su mercati internazionali sempre più esigenti e selettivi. E per le aziende italiane le leve di un marchio ben radicato nella conoscenza di qualificati settori di consumo e un’identità che garantisce qualità e originalità dei prodotti e dei servizi sono cardini fondamentali di sviluppo.
Sono queste le considerazioni di fondo che ispirano “Mani che pensano. Intelligenza Artificiale, arte e cultura per il rilancio dell’impresa”, il tema di fondo dell’attuale Settimana della cultura d’impresa, in corso dal 14 al 28 novembre, per iniziativa di Confindustria e Museimpresa. Saper fare. E fare sapere, costruendo dunque una nuova e migliore rappresentazione dell’industria italiana e del sistema di servizi, ricerca scientifica e trasformazioni tecnologiche che all’industria sono collegati.
C’è un valore della memoria. E un’attitudine all’innovazione, fondata sulla conoscenza del territorio dei saperi diffusi, che parte dalle radici artigianali e agricole e fa crescere competenze che oggi innervano un robusto tessuto di imprese in vari settori della produzione e dei servizi. L’obiettivo è scrivere nuove “storie al futuro”. E mostrare ai mercati come il made in Italy abbia tutte le capacità per continuare a raggiungere ambiziosi traguardi di export e aiutare l’economia italiana, nel grande contesto europeo, a fare fronte alla concorrenza che arriva da Usa e Cina, dall’India e da nuovi agguerriti protagonisti dello scenario globale.
Un made in Italy – vale la pena insistere – che ha i suoi punti di forza nella meccanica e nella meccatronica, nella robotica e nell’industria aerospaziale, nella cantieristica navale da diporto e nell’automotive, nella chimica e nella farmaceutica di precisione, oltre che nei tradizionali settori dell’agroalimentare, dell’arredamento e dell’abbigliamento. Tutti mondi, peraltro, che vivono già la sostenibilità ambientale e sociale come elementi fondamentali della propria qualità e competitività. I marchi storici ne offrono esemplari testimonianze, gli archivi storici e i musei aziendali riuniti in Museimpresa ne garantiscono un’affascinante rappresentazione.
Qual è dunque la forza della nostra cultura d’impresa? Essere, come ripetiamo da anni, “politecnica”, capace cioè di legare in modo originale saperi umanistici e conoscenze scientifiche, senso della bellezza e attitudine alle più sofisticate innovazioni tecnologiche. E proprio queste relazioni tra memoria e cambiamento, estetica e qualità, sostenibilità inclusiva e valori morali sono cardini di produttività e competitività che ci consentono di crescere e affrontare le sfide più impegnative, compresi gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale.
Una cultura d’impresa, dunque, “popolare”, ma né superficiale né banale. Che rifugge dalla bassa qualità e dalle facili semplificazioni demagogiche. E sa bene come processi produttivi e prodotti, ricerche scientifiche e nuovi materiali, architetture dei luoghi di lavoro, linguaggi e metodi del marketing e della comunicazione, relazioni industriali e contratti di lavoro, metodi di governance e relazioni istituzionali siano tutti processi connotati da una grande complessità, che vanno però resi efficienti, efficaci e comprensibili. Sfida difficile. Ma affascinante. E proprio a fare le cose difficili, come ci ha insegnato Italo Calvino, gli italiani mostrano una singolare, positiva attitudine.
DOTT. ANTONIO CALABRÒ
Presidente Museimpresa
Photo Andrea Boccalini